LA CINA? E’ VICINA (AHIME’)

LA CINA? E’ VICINA (AHIME’)

Mer, 10/14/2020 - 08:43
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Una buona idea potrebbe essere quella di puntare sull’azionario cinese per investimenti a medio termine

.cina

Inutile negarlo, dalle nostre parti la Cina non gode di particolare simpatia. Tutti riconoscono l’importanza della cultura millenaria del Celeste Impero, il fascino che esercita in occidente tutta la cultura asiatica, con i suoi riti, le sue tradizioni antiche, i misteri e la sapienza in molte arti e mestieri.

Tuttavia la potenza di fuoco economica del gigante asiatico, cresciuta a dismisura negli ultimi decenni, incute timore e sospetto. L’approccio al business, che molto spesso si esaurisce nello shopping di aziende e iniziative in tutto il mondo grazie alle enormi risorse finanziarie disponibili, è sovente molto aggressivo e richiama più i muscoli delle arti marziali che non la grazia e l’eleganza delle cineserie.

.sguardo al futuro

Qualunque sia l’atteggiamento nei confronti dei cinesi, una cosa è certa: con loro dobbiamo fare i conti e più ancora li dovranno fare i nostri figli e nipoti. Con quasi un miliardo e mezzo di abitanti, è il mercato più importante del mondo, anche se la popolazione dell’India è (di poco) più numerosa. Fino a che il sistema post-maoista era ancora chiuso e fortemente autarchico, quasi ininfluente nelle classifiche e nelle dinamiche del PIL mondiale, qui all’Ovest grandi problemi non ne avevamo.

Ma con l’apertura dell’economia e l’irruzione a gamba tesa su tutti i mercati mondiali grazie a un comparto manifatturiero che non teme confronti sul piano dei costi di produzione, le cose sono cambiate. La disponibilità di materie prime che un paese così grande consente e la mano d’opera se non schiavizzata, ampiamente sotto pagata per effetto di una società fortemente gerarchica, hanno fatto sì che i prodotti cinesi invadessero con le loro esportazioni tutti i paesi sviluppati.

 

.muraglia cinese

 

La più recente impennata della tecnologia (basti pensare al 5G nel campo delle comunicazioni) ha ulteriormente accelerato e intensificato questo processo. Se dovessimo scommettere su chi vincerà la sfida tecnologica con gli Stati Uniti, non avremmo dubbi.

La Cina è percepita come una minaccia, ma dal punto di vista dell’investitore può costituire anche un’opportunità. Su questo sito abbiamo iniziato a consigliare di prendere in considerazione l’ingresso nell’azionario cinese circa un mese fa: da allora l’indice China A50 (che riepiloga l’andamento in borsa delle 50 principali società del Celeste Impero) è passato da 15.121 a 15.154, con un aumento del 2,2% e il cambio Dollaro USA/ Renminbi dal 6,85 a 6,70, evidenziando un apprezzamento della valuta asiatica rispetto al dollaro del 2,25% e quello Euro/Renminbi da 8,09 a 7,91 con incremento del 2,27%. Di questi tempi, portare a casa un rendimento del 27% su base annua non è davvero male.

Vediamo perché l’azionario cinese può essere una buona idea con una prospettiva di medio termine, e cerchiamo di capire quale potrebbe essere un modo per entrare in questo settore, impiegando comunque una modesta parte del patrimonio, orientativamente fra il 10 e il 15%.

La Cina è cresciuta fino a circa 10 anni fa a un ritmo impressionante: l’incremento del PIL anno su anno è stato sempre a doppia cifra fino al +10,6% del 2010, quando il mondo occidentale stava ancora leccandosi le ferite per la terribile crisi del 2007/2008 con il fallimento di Lehman Brothers. Da allora, il tasso di crescita del PIL è venuto via via contraendosi fino al +6,1% del 2019: una decisa frenata ma sempre molto più alto della media dei maggiori paesi capitalistici. Poi è arrivato il Covid e il primo trimestre di quest’anno, per la prima volta dal 1992, ha mostrato un calo del PIL di -6,8%.

Il post-pandemia, per il gigante asiatico in cui il contagio si era generato, è già iniziato da oltre sei mesi e nella corsa al recupero è posizionato molto meglio dell’Occidente. Come abbiamo visto, l’indice di borsa è in piena ripresa così come tutti gli indicatori del PIL. La moneta cinese, dopo un decennio in cui ha mantenuto stabile il rapporto di 7 con il dollaro USA, ha iniziato a rafforzarsi e l’aumento è destinato a durare: la maggiore richiesta degli Stati Uniti è infatti quella di rivalutare il Renminbi per favorire le esportazioni USA e, ancor di più, rallentare le importazioni dalla Cina, storicamente preponderanti.

E’ vero che i tassi a doppia cifra sono ormai un ricordo, ma la nostra opinione è che ci sia un formidabile spazio di recupero da qui alla metà del prossimo anno. Il Covid, paradossalmente, da questo punto di vista ha dato una mano ai cinesi, in quanto – al contrario di noi occidentali – si trova con un surplus di prodotti da vendere, anche ai consumatori e ai clienti occidentali. Il sostegno statale ha infatti decisamente favorito le imprese, mentre da noi ha foraggiato soprattutto i consumatori, dotandoli di liquidità e spingendo la domanda.

Altro aspetto da non trascurare è il controllo e l’autorità esercitati dal governo centrale, che ha senz’altro maggiore possibilità di assicurare al sistema il perseguimento degli obiettivi di sviluppo e la stabilità economica, rispetto alle nostre tradizionali economie di mercato. La forza lavoro non è sindacalizzata, e questo assicura il controllo sul lato dei costi di produzione, che aiuta non poco la concorrenza internazionale. E’ questo il motivo per cui Trump ha scatenato una guerra commerciale col Celeste Impero.

La diatriba USA-Cina è d’altra parte uno dei fattori di rischio di un eventuale investimento nell’azionario di quel paese, anche se molti ritengono che i mercati abbiano già abbondantemente scontato sui prezzi i previsti effetti della contesa.

I rischi di questo mercato devono d’altra parte essere tenuti ben presenti da chi intenda valutare un investimento, in primo luogo i rischi geo-politici della regione asiatica, in cui si sono già verificate pericolose scaramucce di confine con l’India. Proprio l’evoluzione dei rapporti con gli altri Paesi può far trovare la Cina isolata fra l’altro gigante, l’India, che con la leadership di Modi ha intrapreso un indirizzo decisamente occidentalista e “destrorso” e il Giappone che, nonostante le dimissioni di Shinzo Abe per motivi di salute, continua a perseguire una linea decisamente filooccidentale e liberista.

 

.esercito di terracotta

 

Alla luce di tutto questo, l’idea potrebbe essere quella di destinare una quota piccola ma significativa del patrimonio (orientativamente non oltre il 15%) in azioni del mercato cinese, o al limite anche in obbligazioni (i titoli di Stato a 10 anni rendono circa il 3,10%, ai quali potrebbe aggiungersi l’utile su cambio se la moneta cinese si apprezzerà come previsto), con orizzonte di investimento fino a metà 2021. Essendo esclusi acquisti diretti sul mercato, lo strumento da attivare dovrebbe essere un ETF (Exchange Traded[1] Fund) correlato appunto a un indice azionario cinese, oppure una quota di fondo di investimento dedicato. Ogni consulente finanziario è sicuramente in grado di indicare gli strumenti più adatti su cui puntare.

Se non altro, cominceremmo ad attrezzarci in caso di invasione...

 

[1] Gli ETF sono fondi (o SICAV, cioè Società di Investimento a capitale variabile)  a basse commissioni di gestione negoziati in Borsa come le normali azioni. Si caratterizzano per il fatto di avere come unico obiettivo quello di replicare fedelmente l’andamento e quindi il rendimento di indici azionari, obbligazionari o di materie prime