Quale Consulenza?

Quale Consulenza?

Mar, 01/21/2020 - 07:16
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Se il vostro consulente finanziario o il gestore a cui avete affidato i risparmi, chiunque esso sia (banca, promotore, private banker, fondo di investimento, mago Otelma...) vi ha fatto perdere soldi nel 2019, avete un ottimo motivo per licenziarlo.

Come abbiamo scritto a più riprese nel blog, infatti, l’anno da poco trascorso ha portato grandi soddisfazioni non solo a chi ha investito in azioni italiane (il cui indice ha realizzato un fantastico +30%), ma anche in azioni americane – sebbene, in questo caso, penalizzate dal dollaro debole – e, in minor misura, in azioni europee e in obbligazioni, che si sono avvantaggiate dei tassi ancora contenuti più o meno in ogni mercato. E’ vero che, ad esempio, i fondi hedge[1] sono andati male, ma si tratta pur sempre di investimenti alternativi che dovrebbero riguardare non più del 10/15 per cento delle risorse investite.

In generale nel 2019 hanno guadagnato tutti e se chi vi ha consigliato non c’è riuscito, sicuramente non vi ha fatto un buon servizio. Peggio ancora se, nonostante le perdite, vi ha addebitato le sue commissioni, perché quello che veramente non si riesce a digerire è di subire una perdita e dover riconoscere una remunerazione.

La regola è infatti che, oltre a commissioni fisse, si preveda una success fee (commissione di successo), nel caso in cui il gestore abbia performato meglio del benchmark di riferimento. Il benchmarck è un indice sintetico che dovrebbe rappresentare la media dei rendimenti realizzati per una determinata categoria di strumenti finanziari.

Mentre la commissione fissa è sempre dovuta (e già qui ci sarebbe da discutere, quando un gestore o un consulente fa perdere capitale invece di disinvestire e tenere liquidità) e può quindi portare il risultato in negativo, quella variabile si dovrebbe pagare – questa la ratio della previsione contrattuale – solo se il gestore è stato particolarmente bravo.

Se ad esempio abbiamo un fondo azionario Italia e, supponiamo, il nostro fondo ha realizzato un rendimento del 35% quando l’indice di riferimento era il 30%, è giusto che parte di quel 5% gli venga retrocessa, saremo felici noi e il gestore. Per fare il 30%, infatti, basterebbe “replicare” il benchmark, ovvero investire negli stessi titoli e con le stesse proporzioni con le quali è calcolato l’indice, per ottenere almeno il suo rendimento.

E’ questa la logica dei cosiddetti “fondi passivi”, ovvero quelli che si pongono come obiettivo il mero raggiungimento del benchmark: basta impostare il computer in modo tale che segua ogni variazione nella composizione dell’indice, per ottenere lo stesso risultato. Per questo tipo di prodotti le commissioni devono essere particolarmente basse, e il criterio del costo è sicuramente il più importante.

Il valore aggiunto del nostro gestore è quello di saper fare meglio della media di settore, e quello del nostro consulente è di saperci indirizzare verso gli investimenti più adeguati al nostro profilo e ai nostri obiettivi.

Capita, invece, che un determinato benchmark presenti un valore negativo, come successe per quasi tutti i comparti nel 2018. Se ad esempio avessimo investito in un comparto che mediamente ha perso il 10% e il nostro gestore ha perso “solo” il 3%, non possiamo certo dire che siamo stati fortunati, anche se il nostro è stato meno scadente degli altri. Perdere ci sta, ma pagare commissioni di successo a un gestore che ha perso, o a un consulente che ci ha indirizzato verso un comparto poi rivelatosi in perdita, non può essere accettabile.

Ma non è ancora finita: sul prodotto che abbiamo acquistato, quasi sicuramente il nostro consulente ha guadagnato degli incentivi – sotto forma di storni provvigionali o di bonus - da chi lo distribuisce, perfettamente legittimi, intendiamoci. E’ il profilo dei cosiddetti “conflitti di interesse” che la normativa comunitaria ha cercato di disciplinare in modo teoricamente equo. Ma – ahimé – non tutti i gestori sono comunitari e non tutti gli operatori sono proprio scrupolosi.

In tal caso, il povero sottoscrittore, che magari ha fatto un investimento sfortunato, è doppiamente penalizzato: con le perdite e con le commissioni che ha pagato, e almeno due soggetti – diciamo incapaci – che hanno invece guadagnato.

Come difendersi allora? In primo luogo scegliendo consulenti possibilmente bravi ma anche indipendenti, che guadagnino solo (e nella misura in cui) guadagna anche l’investitore. Ciò significa ad esempio evitare coloro che sospettiamo abbiano un interesse a venderci determinati prodotti invece di altri. Tutti i siti di consulenza finanziaria hanno, più o meno evidente, l’egida di una banca o una società che produce o distribuisce strumenti finanziari, magari sotto forma di pubblicità. Molto spesso i consigli che danno sono finalizzati a far acquisire il cliente, o anche solo a trasferire il rapporto, a quelle banche o società. Diffidare quindi dei siti di consulenza ed avisoring che ospitano pubblicità.

In secondo luogo, verificando che in caso di perdita del prodotto (titolo o strumento finanziario che sia) nessuna commissione sia dovuta, né fissa né variabile.

In terzo luogo che la consulenza sia veramente personalizzata, che parta da una valutazione approfondita della situazione economica, finanziaria, patrimoniale dell’investitore, dalla sua propensione al rischio, dagli obiettivi che si propone, dal suo grado di conoscenza in ambito finanziario, e che non sia standardizzata, uguale per tutti, “un tanto al chilo”.

Su questi aspetti torneremo a parlare nei prossimi articoli: intanto, il consiglio è quello di verificare le condizioni stabilite per il servizio di consulenza o di gestione.


[1] Un fondo hedge (detto anche fondo speculativo),  è un fondo comune di investimento privato, amministrato da una società di gestione professionale.  Gli hedge funds hanno in genere l'obiettivo di produrre rendimenti costanti nel tempo, con una bassa correlazione rispetto ai mercati di riferimento, tramite investimenti singolarmente ad alto rischio finanziario, ma suddividendo il rischio in una pluralità di operazioni di natura diversa. Per realizzare questo obiettivo usano solitamente uno o più strumenti o strategie di investimento sofisticati come:

In genere sono caratterizzati dal numero ristretto di soci partecipanti e dall'elevato investimento minimo richiesto. In teoria dovrebbero fornire rendimenti più elevati, sebbene presentino un profilo di rischio maggiore rispetto ai fondi tradizionali.