Sull’orlo del baratro: la fragilità antica del real estate in Italia

Sull’orlo del baratro: la fragilità antica del real estate in Italia

Mar, 05/12/2020 - 18:09
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Il destino di una comunità, anche in un suo elevato grado di complessità, è sempre determinato dalle scelte dei governanti

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Prosegue nel blog la miniserie dedicata al mondo post-coronavirus: che tipo di società sarà quella che emerge dalle macerie della pandemia? Abbiamo cercato di immaginare, anche con il contributo di professionisti ed esperti dei diversi settori di attività, quali cambiamenti strutturali comporterà lo tsunami del virus, che conseguenze dovremo affrontare e come ne verrà modificata la nostra vita.

Abbiamo iniziato parlando delle determinanti e degli effetti demografici, poi abbiamo visto cosa c’è da aspettarsi in ambito economico e finanziario. Oggi ci occupiamo, con l’aiuto di Pietro Mele, di un settore strategico in ogni società evoluta: quello immobiliare, delle costruzioni, dell’”hardware sociale”.

Se è vero che ogni crisi parte dall’immobiliare e che ogni ripresa inizia da lì, è del tutto evidente come il real estate sia insieme termometro, evidenza e propulsore dei cicli economici. Pietro ci dice che ci troviamo sul ciglio di un burrone, in cui non il virus ma le scelte di politica economica e sociale e la fragilità endemica del sistema ci hanno portati. Sta a noi trasformare la crisi in opportunità oppure decidere di finire nel baratro.

 

Buona lettura, dunque.

 


 

 

In periodo di Covid-19, con previsione di crollo del P.I.L nazionale del 9,5% su base annua, appare abbastanza semplice pronosticare un futuro molto difficoltoso se non drammatico per il settore immobiliare.

Innanzitutto, però, occorre sezionare il concetto, in quanto nella definizione generale di settore immobiliare si includono vari sottoinsiemi che potremmo identificare nelle seguenti macro-aree (diverse tra loro ma accomunate da stesse problematiche): il mercato della compravendita immobiliare, il settore dell’edilizia (cioè delle costruzioni e degli appalti privati e pubblici) e gli investimenti nelle iniziative immobiliari (cioè lo sviluppo immobiliare).

Tra tutti questi elementi di un unico sistema vi è un fattore in comune: la crisi.

Può essere utile affrontare il tema tramite un concetto preso in prestito dall’ingegneria strutturale.

Si definisce “fragile” un sistema strutturale (composto da vari elementi portanti tra loro connessi) il cui punto di rottura (di crisi) è molto vicino al limite della sua elasticità (cioè la capacità di ritornare nell’originaria configurazione dopo lo sforzo).

Si definisce invece “duttile” un sistema strutturale che quando è sottoposto a uno sforzo è capace di deformarsi a lungo prima di rompersi (la crisi del sistema): in pratica “si adatta” allo sforzo.

Il nostro sistema immobiliare appare oggi di tipo fragile, vista la difficoltà di adattarsi alle condizioni al contorno, oggi negative, che ne determinano una difficile esistenza.

Tali condizioni sono principalmente riconducibili alla ridottissima capacità di spesa (incidente sul mercato immobiliare), alle difficoltà di erogazione bancaria (incidente sul mercato e sull’edilizia), alla fuga di investimenti, soprattutto esteri, strutturati (incidente sullo sviluppo immobiliare).

Non si può certo affermare che la fragilità del nostro sistema immobiliare dipenda solo dal coronavirus, quanto piuttosto che abbia origini ad esso precedenti.

In sintesi potremmo elencare: l’enorme ed ingiustificata tassazione, la relativa e scarsa valorizzazione del patrimonio ad esclusivo favore della rendita dello stesso (non ha un valore intrinseco, ma vale come fattore moltiplicativo della resa economica), le difficoltà burocratiche dissuasive per tutti gli  investitori (soprattutto se stranieri), le politiche urbanistiche ( con abuso di frasi-spot ostative: consumo del suolo, cementificazione…), il non incremento demografico e il bisogno di liquidare patrimoni (che comportano la forte riduzione del rapporto richiesta/offerta).

Difficile pensare che il sistema immobiliare così aggredito da ogni componente esterna e privo di ogni congiuntura che gli sia favorevole non possa essere divenuto fortemente fragile, al di là delle resistenze  peculiari che gli sono proprie, date da: la durabilità delle nostra costruzioni (e pertanto la conservazione del valore), il mito della casa di proprietà, la tendenza consolidata a rendere patrimonio immobiliare la gestione del risparmio familiare, la necessità crescente di servizi di una società civile che si sviluppa.

La fragilità è data dal fatto che il settore vive in condizioni “critiche”, date dalla crisi e prossimo quindi alla propria crisi. Vi è anche da considerare, infine, quella parte del settore immobiliare che è componente funzionale dell’attività di un’azienda e che ne costituisce il patrimonio.

Ogni crisi fa generare buoni affari a chi possiede liquidità in eccedenza; risultano facilmente individuabili due grandi e divergenti provenienze: i fondi e il riciclaggio.

L’albergo privo di clienti sarà costretto a dismettere: da quale direzione arriverà l’offerta?

Stadio Siena

 

Ecco che il real estate diventa tema non più e non solo dell’economia (di cui è pilastro portante) ma della politica e del sociale, peraltro anche deficit di servizi e di spazi di aggregazione dei quartieri periferici che contribuisce a generare criminalità e disagio sociale. Come può quindi il sistema uscire dalle condizione di fragilità, dalla posizione di equilibrio ormai instabile in cui si trova (in bilico sull’orlo del baratro)?

E’ da tenere conto che una politica di investimenti nel settore da parte del Governo avrebbe la lungimiranza di impensati ritorni economici sull’intero sistema-paese per l’indotto di cui è traino, oltre che in termini di benefici sociali, culturali, occupazionali quindi…..esistenziali.

E probabilmente un ipotetico “business plan globale” di un nuovo corso sostenuto da una politica di sinergia tra pubblico (decisioni governative) e privato (supporto dai grandi contenitori del capitale) darebbe evidente  dimostrazione della sostanziale inversione di tendenza dell’intero settore.

La detassazione sul patrimonio edilizio, una nuova visione urbanistica di gestione del territorio, un obbligato sveltimento burocratico fortemente necessario; una politica di incentivazione alla riqualificazione delle periferie, al recupero dei grandi contenitori vuoti del centri storici e a quello dei borghi abbandonati (peraltro in Italia di grande pregio) e all’edilizia necessaria per attività produttive in ambito rurale; il tutto, sostenuto da un nuovo e diverso rapporto verso il credito bancario, darebbe al sistema quella duttilità necessaria per potersi adattare a quei fenomeni  macro-economici a cui ci sottopone la globalizzazione di oggi, effetti da Covid-19 compresi.

Alla fine il destino di una comunità, anche in un suo elevato grado di complessità, è sempre determinato dalle scelte dei governanti: altrimenti non si spiega il motivo per cui in territori dotati di enormi ricchezze naturali vivano popolazioni nell’indigenza e in altri meno dotati prosperino civiltà evolute. E ciò vale nei periodi ordinari come in quelli dell’emergenza.

Sulla base di  tali principi si gioca la grande sfida sul futuro di un vecchio continente post Covid, di cui il settore immobiliare fa parte; tutto dipende dal saper determinare il proprio progresso tramite la possibilità di conciliare una logica vocazione “progressista” con la necessità di liberarsi una illogica mentalità conservatrice stringente sugli interventi sul territorio, fatto che contribuirebbe in maniera determinante alla salvezza dell’intero settore.

L’idealizzazione del passato, anche a livello estetico, non può essere scusante ed ostacolo alla legittimazione di un processo di cambiamento legislativo che risponda a precise esigenze di sviluppo economico e sociale e alle necessità dettate dall’emergenza. E solo la capacità di interpretare la criticità  del particolare momento storico che stiamo vivendo sarà risolutiva per allontanarsi dall’orlo del baratro.

 

Alla fine è sempre un problema di illuminazione politica…..

Pietro Mele

 

 


 

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(*) Pietro Mele, 62 anni, ingegnere libero professionista.

Grande promessa del basket senese degli anni 80, si è laureato a Firenze in Ingegneria Civile con specializzazione in Ingegneria Sismica nel 1986. E’ iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Siena e all’Ordine degli Ingegneri di Riga (Lettonia).

Nel febbraio 2009 ha fondato la società di ingegneria Studio Strutture srl, con sede nel centro storico di Siena, che si occupa di ingegneria strutturale e architettonica, oltre che svolgere attività di advisory e di project management di operazioni di sviluppo immobiliare, con  esperienze professionali inerenti  la progettazione di numerose opere di livello nazionale e di respiro internazionale.

Attualmente particolare interesse è rivolto all’impiantistica sportiva, e ai correlati sviluppi immobiliari consentiti dalla speciale normativa vigente in proposito. Partecipa attivamente alle realtà senesi di basket e calcio, nel solco della sua passione per lo sport.