DRAGATION

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Mer, 07/14/2021 - 09:23
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Ripresa economica, centralità in Europa, piano di vaccinazione, successi nello sport: al via una nuova stagione

.firenze

L’Italia si sta avviando verso un nuovo Rinascimento? E’ sicuramente presto per dirlo e tradisce un ottimismo forse eccessivo, considerando che solo un anno fa, o anche meno, eravamo nel pieno di una crisi oltreché economica e produttiva soprattutto di fiducia. Noi stessi abbiamo consigliato di non tornare a investire su azioni o titoli del nostro paese e, francamente, siamo ancora della stessa opinione, poiché le condizioni oggettive e strutturali non sono sostanzialmente cambiate.

Tuttavia è innegabile che in queste settimane si stia assistendo a un forte spirito di ripresa, che non è più (solo) speranza nello stellone italico, ma aspettativa di sviluppo e consapevolezza delle proprie potenzialità. Solo pochi mesi fa soffiava forte il vento del sovranismo e dell’antieuropeismo (è di ieri il sostegno dell’allora – e tuttora – Ministro degli Esteri alla rivolta antigovernativa dei gilet gialli in Francia), mentre oggi stiamo giustamente cantando le sorti magnifiche e progressive del New Generation EU.

.vaccinazioni

Il piano di vaccinazioni, a differenza degli altri paesi, stentava a decollare e il recupero del tempo perduto era ancora di là da venire. Mancava una strategia politica chiara e condivisa, le forze eterogenee che sostenevano il governo andavano tutte per la loro strada.

Poi è arrivato Draghi. Con sano pragmatismo ha definito le priorità (vaccinazioni, PNRR, sviluppo economico) scegliendosi, per i settori di competenza, manager fidati e sperimentati. Sugli altri, ha dato spazio, visibilità e poltrone alla politica. E ha cominciato a macinare.

.campione d'Europa

I successi sportivi hanno fatto rinascere e cementato spirito nazionalista e attaccamento alla bandiera che dalle nostre parti non sono stati mai troppo popolari, a parte – appunto – nei momenti di gloria pallonara. La nazionale di calcio arrivata al titolo di campione d’Europa dopo 53 anni dall’ultima vittoria, quella di basket alle olimpiadi dopo ben 17 anni di assenza, un nostro tennista per la prima volta in finale a Wimbledon: tutti eventi che hanno contribuito al new deal italiano.

Con Draghi il nostro paese è diventato centrale negli equilibri europei: nella gerarchia dell’Unione Europea siamo passati da punto di arrivo a punto di partenza delle decisioni e delle strategie; complice anche – oltre che la Brexit – l’annunciato abbandono delle scene da parte di Angela Merkel, l’asse di riferimento sta gradualmente diventando Roma-Parigi. Per questo, il percorso di accesso ai fondi post-pandemia, dal rischio di ritardi e di difficoltà, è diventato un semplice iter procedurale.

Sarà vera gloria? Ai posteri, ovviamente, l’ardua sentenza.

Qualunque cosa succeda, comunque, un grande servizio Draghi l’ha già reso al nostro paese: sta sgombrando il campo, gradualmente ma in modo sistematico, da tutte le “originalità” della breve stagione pentastellata, ormai avviata inesorabilmente all’estinzione. Prima fra tutte, per ordine di importanza, la sciagurata riforma della giustizia dell’ex guardasigilli Bonafede, che aveva cancellato – in nome del giustizialismo – l’istituto della prescrizione dei processi, baluardo di civiltà e di tutela dei cittadini in un sistema in cui i processi durano all’infinito[1].

Con quella balzana riforma, si riportava a carico degli sventurati incappati nelle maglie della giustizia, il peso dell’incapacità a garantire tempi non diciamo normali, ma almeno sopportabili, di svolgimento dei processi. Tutti, colpevoli o innocenti che siano, hanno diritto di essere giudicati prima possibile, oltre che con equità e di aver chiarita la loro posizione. Anzi, sono proprio i colpevoli ad essere favoriti dai tempi lunghi e da situazioni non chiare.

La stessa Europa ha richiamato formalmente l’Italia al rispetto di questo elementare principio di giustizia, subordinando alla sua realizzazione la possibilità di accedere ai fondi comunitari: questa è stata la molla che ha messo la questione in cima alla scala di priorità del governo. E Draghi ha posto un bel carico da 90 sull’approvazione della proposta di legge Cartabia in Consiglio dei Ministri e sul successivo iter parlamentare.

.draghi

Che la giustizia italiana, anche a livello europeo, sia un problema, emerge con chiarezza dal recente “EU Justice Scoreboard”[2], dove viene sottolineata la lunghezza dei processi: mediamente 550 giorni per arrivare a una sentenza civile di primo grado (peggio di noi solo la Grecia) e 1300 per tutti e tre i gradi di giudizio (qui siamo i peggiori in assoluto), pur evidenziando, negli ultimi anni, un sensibile miglioramento. Ma soprattutto, nella percezione dei cittadini, si riscontra una diffusa sfiducia nell’indipendenza dei giudici, a causa delle interferenze o pressioni di governi e politica: in questa singolare classifica siamo al quintultimo posto, meglio solo di Bulgaria, Polonia, Slovacchia e Ungheria.

L’abolizione del “fine processo mai” potrebbe sembrare una faccenda secondaria in un momento di emergenze come l’attuale, ma così non è. Basta chiedere a chi per sventura si è trovato implicato in procedimenti giudiziari, per i quali vige il principio che un avviso di garanzia, per non parlare di un rinvio a processo, è già sicuro indizio di colpevolezza per i media, soprattutto se si tratta di personaggi con visibilità pubblica.

La stagione di “mani pulite” rappresentò il culmine del massacro mediatico, con la possibilità per gli accusatori di essere sempre al centro della scena, grazie alla quale molti di loro (non solo del team milanese, ovviamente) sono poi entrati in politica, con imbarazzante continuità fra la funzione di magistrati e quella di rappresentanza.

justice

Il fatto che agli avvisi e ai processi siano seguite solo sporadicamente le condanne, dimostra quanto sia giusta la previsione costituzionale di presunzione di innocenza: fino a che non c’è una sentenza, tutti devono essere considerati innocenti. Purtroppo assoluzioni e proscioglimenti non hanno la stessa risonanza delle informazioni di garanzia: qui titoli urlati e pagine intere di giornali, là trafiletti seminascosti. E fino a quel momento, nel giudizio delle persone comuni, resta comunque l’idea che l’indagato sia colpevole, che “se l’hanno accusato (o peggio sottoposto a limitazioni della libertà personale), qualcosa deve aver fatto”.

In questi casi, la garanzia che prima o poi la gogna finirà è la sola, unica consolazione dei malcapitati. A parte i casi di accanimento delle procure, come insegnano tristi vicende di cronaca.

Fosse anche solo per questo, l’avvento di Draghi sarebbe comunque già una fortuna per il nostro paese.

 

 

[1] Dell’argomento ci eravamo occupati più diffusamente nell’editoriale “Ci sarà pure un giudice a Berlino” del 27/1/2021     , cfr:

https://marcoparlangeli.com/2021/01/27/ci-sara-pure-un-giudice-a-berlino

 

[2] Si tratta del rapporto annuale di confronto fra i sistemi giudiziari dei paesi UE, scaricabile integralmente da:

https://ec.europa.eu/info/sites/default/files/eu_justice_scoreboard_2021.pdf