LA SCHIZOFRENIA DELLA POLITICA ECONOMICA

LA SCHIZOFRENIA DELLA POLITICA ECONOMICA

Mar, 05/16/2023 - 16:41
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Politica monetaria e politica fiscale hanno effetti contrastanti sull’economia

.schizofrenia

Torniamo a parlare di inflazione, star indiscussa di tutti seminari e le pubblicazioni economiche di queste settimane, e degli strumenti messi in campo per combatterla, ma questa volta allarghiamo l’analisi alla politica economica. Non ci limitiamo cioè alla sola politica monetaria, la più visibile sia perché al centro delle quotidiane dichiarazioni dei banchieri centrali sia perché ha effetti immediati sui mercati finanziari; ma prendiamo anche in considerazione la politica fiscale e di bilancio dei vari governi.

Entrambe le leve, quella monetaria e quella fiscale, sono in astratto idonee a contrastare l’aumento generalizzato dei prezzi, ma hanno differenze importanti sia nel livello di efficacia che nelle conseguenze su produzione e reddito. Intanto sono diversi i soggetti che manovrano queste leve: nel primo caso sono le banche centrali (FED per gli Stati Uniti, BCE per l’Unione Europea, Bank of England per il Regno Unito e così via); nel secondo i governi dei vari Stati. Mentre i banchieri sono fondamentalmente tecnocrati non eletti ma nominati e spesso autoreferenziali, i governi hanno un mandato popolare e sono sottoposti al continuo giudizio del corpo elettorale. Almeno nei casi di USA ed Europa, sono diverse anche le aree geografiche di riferimento: le politiche fiscali sono gestite a livello locale dei singoli stati, quelle monetarie a livello federale o centrale (Washington per gli USA e Francoforte per l’Europa).

.inflazione

Entrambi gli strumenti di politica economica, sia quello monetario che quello fiscale, agendo sulla domanda, influenzano direttamente il PIL e indirettamente i prezzi. La politica monetaria manovra i tassi di interesse e la quantità di moneta in circolazione, quella fiscale la spesa pubblica e la pressione fiscale. Se quindi siamo in periodo di inflazione eccessiva, l’obiettivo di combatterla si concretizzerà da una parte con l’aumento dei tassi di interesse e il drenaggio di liquidità nel sistema, dall’altra con il contenimento della spesa pubblica e la ricerca di pareggio di bilancio o comunque di un freno alla crescita del debito pubblico.

Un aumento dei tassi di interesse rende più costoso prendere in prestito denaro per le imprese: può ridurre gli investimenti in nuove attività o espansione delle attività esistenti, portando a una diminuzione della produzione. Le imprese potrebbero anche ridurre le spese operative e la forza lavoro per adattarsi ai maggiori costi di finanziamento. Di conseguenza, l'attività economica può rallentare, influenzando negativamente la crescita economica. Dal punto di vista dei consumatori, aumentando i tassi di interesse, si rende più costoso prendere in prestito denaro per acquistare beni durevoli, come case o automobili. Ciò può ridurre la spesa delle famiglie in questi settori, influenzando negativamente la produzione di beni e servizi correlati. Inoltre, i consumatori potrebbero anche ridurre la spesa generale per adattarsi a tassi di interesse più elevati, il che può avere un impatto più ampio sulla domanda aggregata e sulla produzione.

.spesa pubblica

D’altra parte, la spesa pubblica – qualora non compensata da un equivalente aumento delle imposte, e quindi finanziata aumentando il debito – è componente diretta del PIL e una sua riduzione ipso facto deprime il reddito nazionale.

Quello che sta accadendo attualmente è una stridente schizofrenia fra politiche monetarie restrittive e politiche fiscali decisamente espansive, che scontano anche il trascinamento degli stimoli attivati a suo tempo per contrastare la pandemia. Questo è il motivo per cui, nonostante i forti aumenti dei tassi di interesse, la recessione stenta ancora a prendere il sopravvento e il PIL di molte nazioni, Italia in primis, continua a mantenersi sopra le aspettative.

.schizofrenia

Mentre le banche centrali, come si diceva, non devono rendere conto agli elettori (e agli investitori) delle conseguenze delle loro decisioni, per i governi è molto difficile attuare una consistente riduzione della spesa e/o un aumento della pressione fiscale. Tutti i governi attualmente in carica, sulla scia della pressione per combattere il Covid, avevano infatti posto al centro dei loro programmi elettorali la ripresa e lo stimolo alle economie, rimuovendo (provvisoriamente) gli ostacoli all’aumento dell’indebitamento pubblico. Si pensi, per l’Europa, al PNRR che solo ora dà luogo alle prime erogazioni di risorse e che ha un forte effetto espansivo.

Il punto è che il debito non può essere espanso all’infinito: solo per gli Stati Uniti, la cui valuta è universalmente accettata come moneta di riserva di valore, in astratto è sempre possibile stampare nuovi dollari, a patto che ci sia qualcuno nel mondo che li acquista. Per gli altri paesi, invece, si devono convincere gli investitori e le banche a sottoscrivere i nuovi titoli del debito pubblico emessi (BTP, Bund, Bonos e simili). Negli Stati Uniti è fra l’altro ancora sub judice l’ulteriore espansione del debito pubblico, che entro la fine del mese deve essere approvata dal Parlamento (nel quale l’attuale Presidente Biden non ha la maggioranza) pena il blocco tecnico della possibilità di spendere per il Governo federale.

Per questo il rapporto deficit/PIL, ovvero fra il disavanzo dello stato e il PIL, (e quello fra debito e PIL), sta lievitando un po’ dappertutto: non solo in Europa, dove il mitico 3% è ormai un lontano ricordo, ma anche negli USA, dove è passato dal 5,4 dello scorso anno all’attuale 6%.

.tiroallafune

Siamo quindi di fronte a una vera e propria schizofrenia della politica economica, in cui a parole tutti vogliono combattere l’inflazione pur senza provocare recessione, ma da un lato le autorità monetarie continuano ad aumentare i tassi e dall’altro i governi aumentano la spesa ed espandono il debito. In questo singolare tiro della fune, non è possibile dire chi vincerà e quale sarà il panorama economico che ci aspetta.

In questo contesto, i mercati sono esposti a fluttuazioni e a strappi che certo non aiutano gli investitori, anche se è opinione diffusa – come abbiamo visto la scorsa settimana – che la corsa dei tassi sia arrivata a capolinea e che forse un minimo di stabilità riusciremo ad averlo nei prossimi mesi.

Quello che sta aiutando, in questa fase, è il forte calo dei prodotti energetici che contribuisce a contenere l’inflazione tendenziale. Ma cosa accadrà quando le tigri asiatiche ricominceranno a correre e a domandare petrolio e derivati facendone crescere i prezzi?