PATTO CHIARO: AMICIZIA LUNGA MA CRESCITA LENTA

PATTO CHIARO: AMICIZIA LUNGA MA CRESCITA LENTA

Mer, 12/20/2023 - 18:15
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Patto di stabilità: perché l’Italia è obbligata a negoziare la riforma

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I temi legati all’economia certamente non appassionano il grande pubblico, tanto più quando sono collegati a quelli sui rapporti all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, il gran parlare di modifica del PNRR, riforma del Patto di Stabilità, governance economica, Mes, sanzioni (e chi più ne ha più ne metta) inducono grande confusione e un certo timore in una platea che fra pochi mesi sarà chiamata a votare proprio per il rinnovo degli organismi dell’Unione, a partire dal Parlamento Europeo e dalla Commissione.

Da molto tempo, ormai, tutti questi temi non sono più qualcosa di lontano e astratto, ma entrano a gamba tesa nella vita di tutti i giorni, nelle condizioni economiche delle persone e nella gestione del loro patrimonio. Per questo riteniamo utile fare un minimo di chiarezza almeno sui concetti principali, senza troppo addentrarci nei tecnicismi del diritto dell’Unione, ma cercando di capire quali sono i rischi che il nostro paese sta correndo.

Nel far questo, lasceremo da parte il discorso sul MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), sia perché ne abbiamo già parlato diffusamente - si veda il nostro editoriale del 10/12/2019 “Punto e Mes”  in  https://www.marcoparlangeli.com/2019/12/10/punt-e-mes, rispetto al quale ben poco è cambiato    -, sia soprattutto perché non ha niente a che vedere con la discussione in corso, salvo il fatto che il nostro Governo l’ha tirato in ballo per un motivo puramente tattico, subordinando la nostra ratifica (l’unica che manca) a una riforma del Patto che vada incontro ai nostri desiderata.

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Tutto cominciò nel 1992 sulle rive del fiume Mosa, nella ridente cittadina olandese di Maastricht, capoluogo di circa 100.000 anime della Provincia del Limburgo, dove i rappresentanti degli allora dodici Stati membri della CEE sottoscrissero il “Trattato sull’Unione Europea”, noto appunto come “Trattato di Maastricht”. Il Trattato fu all’origine – qualche anno dopo – del famigerato “Patto di Stabilità e Crescita” (PSC), entrato formalmente in vigore nell’Unione nel 1997, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio in vista dell’unificazione monetaria che avrebbe avuto luogo due anni dopo con l’entrata in vigore dell’Euro.

Perché col tempo il PSC abbia poi gradualmente perso il termine “crescita” e sia rimasto solo “Patto di Stabilità” è abbastanza intuibile. In estrema sintesi il Patto introduceva due parametri molto semplici da definire ma – per alcuni paesi, fra cui l’Italia – pressoché impossibili da rispettare:

  • Il rapporto fra deficit pubblico e PIL, che non avrebbe dovuto superare il 3% e
  • Il rapporto fra debito pubblico e PIL che non avrebbe dovuto superare il 60%.

.bilancio pubblico

Per avere un’idea di quanto ne siamo lontani, si pensi che nella legge di bilancio del 2024 (quella attualmente in discussione) il primo è indicato al 5,3%, il secondo al 140,2%. Ma l’Italietta non è l’unica ad essere fuori linea: anche Grecia, Spagna e Portogallo non stanno rispettando entrambi i parametri, mentre tutti i maggiori paesi, ad eccezione della Germania – che è l’unica entro i limiti – hanno un debito pubblico ben superiore al consentito.

C’è da dire che molti dei membri avevano conti pubblici fuori dai limiti già all’epoca dell’entrata in vigore. Per questo era stato individuato un percorso di allineamento che avrebbe dovuto riportare anche gli inadempienti entro i limiti consentiti. Questa è la ragione per cui i conti pubblici dei paesi membri vengono non solo monitorati, ma anche valutati anno per anno dalla Commissione, che ha disposizione tre strumenti penalizzanti per chi è fuori linea: l’avvertimento, la raccomandazione e la sanzione, in ordine crescente di gravità e incisività.

portare il pacco

Se a seguito delle raccomandazioni, non vengono applicati i correttivi imposti, si può arrivare alla sanzione, decisamente molto pesante, che può arrivare fino allo 0,5% del PIL, dapprima sottoforma di deposito, poi – nel caso di non rientro nei parametri – trasformabile in vera e propria sanzione.

Con il Covid venne introdotta per la prima volta una “clausola di salvaguardia” che di fatto congelava gli obblighi del patto sui bilanci pubblici. Tale clausola è stata poi prorogata lo scorso anno in concomitanza con la guerra in Ucraina, ma a fine mese cesserà completamente di esistere, non essendone consentita un’ulteriore proroga (salvo modifica del Patto stesso).

Il punto è che l’Italia e altri stati membri della fascia “debole”, qualora non si riesca a giungere a una sostanziale modifica del Patto, non riusciranno ad essere compliant con i parametri e sarà molto complicato evitare sanzioni. Questo è il motivo per cui in questi giorni si sta cercando febbrilmente di arrivare a una riforma del Patto che consenta maggiore flessibilità e libertà di azione ai membri in difficoltà. Anche perché, qualora venissero adottate misure draconiane di bilancio (come quelle a suo tempo imposte dal Governo Monti), si avrebbero pesanti contraccolpi in termini di calo della produzione, recessione e disoccupazione.

anno elettorale

E in un anno elettorale come il 2024, di tutto hanno bisogno i Governi tranne che di scontento generalizzato degli elettori.

La corsa contro il tempo ha portato a un negoziato molto serrato fra l’Italia – che sta cercando una sponda nella Francia – e i paesi cosiddetti “frugali”, con la Germania in prima linea.

Mai come oggi i termini “stabilità” e “crescita” sembrano così in antitesi: certo, fare ordine nei bilanci pubblici è una necessità indiscutibile, ma di troppo rigore si può anche morire.