Megatrend e Minitrend

Megatrend e Minitrend

Mar, 05/17/2016 - 09:05
3 commenti

Saper distinguere ciò che è tendenza (megatrend) da ciò che è contingente (minitrend)

megatrend e minitrendQuel che vale per il grande, vale anche per il piccolo…non sempre è vero, ma molto spesso sì. Uno degli obiettivi del blog è quello di identificare le tendenze che, al di là di ogni ragionevole dubbio, possiamo ritenere verificate per il nostro sistema economico. Ci si trova infatti ad operare come soggetti razionali in un ambiente che, se non irrazionale, è quanto meno imprevedibile e incostante. Quello che possiamo fare, per orientare le nostre scelte economiche, sia di investimento che imprenditoriali, è allora quello di basarsi sui fatti. Dobbiamo avere, secondo me, la capacità di distinguere ciò che è tendenza o megatrend (trend = andamento consolidato), da ciò che è meramente contingente, ovvero un mini trend. Platone avrebbe detto: quello che è sostanza da quello che è una semplice immagine proiettata sullo sfondo della caverna. Con in più la difficoltà che oggi il nostro quadrante è multidimensionale, le immagini si rimandano e si modificano l’una con l’altra e cambiano a grande velocità. Se allora noi prendiamo le decisioni (che titolo compro, in che settore voglio aprire una start-up, mi finanzio a debito o con capitale, quando cedere l’impresa e a chi, e così via) basandoci su un “fantasma”, possiamo solo contare sulla nostra buona stella oppure su una serie di coincidenze. Se invece scegliamo sulla base di una tendenza di lungo periodo, magari non faremo il “botto” ma eviteremo di trovarci fuori strada, o peggio ancora contromano in autostrada. Cerchiamo allora di metterci d’accordo sui punti fissi, cominciando con questo intervento dal primo. PREZZI E TASSI Chi è cresciuto, come me negli anni 70, fatica ad accettare il fatto che l’inflazione ormai non esiste più. Ricordo la copertina di un giornale economico dei primi anni 80 che riportava a caratteri cubitali: “l’inflazione è morta”. Dentro di me dissi: “questi sono matti”, e invece avevano ragione. Allora ero giovane, ma se avessi preso alla lettera quell’intuizione, e mi fossi comportato di conseguenza, oggi sarei ricco. I prezzi dunque, nelle economie occidentali sviluppate, sono destinati a rimanere fissi o a scendere ancora sotto l’obiettivo dichiarato del 2%. Scenari apocalittici di svalutazioni weimariane, con il prezzo del pane che aumentava in poche ore di qualche milione di marchi, resteranno quindi un ricordo. Se questo sia un bene o un male non saprei dire, e alla fine mi interessa anche poco. Quali siano i motivi che hanno condotto a questa situazione non è facile a dirsi: i tassi di sviluppo a doppia cifra sono pressoché impossibili da far tornare, la domanda di investimenti e consumi si è abbassata ovunque (o almeno la sua inclinazione), le svalutazioni competitive in area euro non esistono più per definizione, la dipendenza dai prezzi delle fonti energetiche è molto diminuita. Il fatto che ci sia un obiettivo generalizzato nel riportare l’inflazione al 2% è esso stesso sorprendente, come se un certo livello di inflazione fosse connaturato al concetto di sviluppo. Pensiamo che fra gli obiettivi della politica monetaria europea, ovviamente proveniente dalla Germania, c’è ancora il perseguimento della stabilità dei prezzi. Stesso discorso per quanto riguarda i tassi: sono ormai anni che i tassi rimangono zavorrati ai livelli più bassi. Addirittura stiamo facendo i conti con i tassi negativi (quelli di mercato monetario e a breve). Siamo da tempo in quella che una volta si chiamava trappola della liquidità: ulteriori riduzioni dei tassi non stimolano più gli investimenti e, per questa via, lo sviluppo. Si pensi al Giappone che da anni ha tassi nulli o negativi e nonostante questo la sua economia stenta a decollare. Per inciso, ciò significa anche che  la politica monetaria non dispone ormai quasi più della sua arma tradizionale di intervento per lo sviluppo: la leva dei tassi. Per alcuni questo è un bene, per altri un male. Tipicamente, è un bene per i debitori (attuali o potenziali): chi prende in prestito denaro, pagherà poco. Certamente è un male per i creditori e gli investitori: impiegando le proprie risorse, si ottengono redditi bassi. E’ vero che se non c’è inflazione, i tassi reali almeno non diminuiscono come accadeva, invece negli 70: con tassi alti ,ma prezzi ancora più alti, la ricchezza si trasferisce dai creditori ai debitori. Con tassi del 15% e inflazione al 20%, il capitale in contanti perde ogni anno il 5% del suo valore. E lo stesso vale al contrario: basta chiedere a quelli che hanno contratto un mutuo sulla casa negli 70, che sono diventati tutti ricchi. Ma certo il mestiere dell’investitore è oggi molto più complicato di una volta: oltre al rendimento diminuito, c’è da fare i conti con il rischio, che è invece tendenzialmente aumentato. Per questo si vedono oggi (non ancora in Italia, ma è solo questione di tempo) banche che falliscono, una cosa anche solo 30 anni fa impensabile. Il mestiere del debitore, da questo punto di vista, non è gran che cambiato: deve far rendere i soldi che prende più di quanto paga di interessi. Ovvero, deve avere un ritorno sul suo capitale investito superiore al tasso che paga. Avere rendimenti importanti non è mai stato facile, e non lo è neppure oggi, ma con tassi di interesse bassi la probabilità di aumentare i guadagni indebitandosi (quella che si chiama leva finanziaria) aumenta notevolmente. La situazione ideale per avviare una start-up in un settore a bassa intensità di capitale.   Ma su questo e sugli altri megatrend e minitrend, torneremo coi prossimi articoli.  

Commenti

Chiarissimo, aspetto la prossima puntata :)
ciao Marco

Grazie, Marco!
Sarà un piacere seguirti , perché hai la capacità di spiegare meccanismi articolati in modo semplice e comprensivo.
Alla prossima puntata!