IL CALCIO NEL PALLONE

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Mer, 12/07/2022 - 10:59
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I conti delle società calcistiche di nuovo nell’occhio del ciclone

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Negli ultimi giorni è prepotentemente tornato alla ribalta il caso dei bilanci delle società calcistiche, sulla scia delle indagini - che hanno portato alla richiesta di rinvio a giudizio per molti amministratori – intorno alla Juventus. A una delle più blasonate e storiche compagini del circo pallonaro, per di più quotata in borsa, è stata infatti contestata la regolarità dei bilanci, nel senso di aver contabilizzato plusvalenze inesistenti per far apparire una situazione finanziaria e patrimoniale migliore di quella reale.

Naturalmente non entreremo nel merito del caso-Juve, ma la notizia ci fornisce l’occasione per fare il punto sugli aspetti economici e finanziari di quello che sempre più è diventato un business fuori controllo. Soprattutto è emersa – ancora una volta – l’assoluta indifendibilità della quotazione in borsa delle società sportive, che in Italia interessa Juventus, Roma e Lazio. Su questo, le autorità di vigilanza e controllo del mercato (la Consob in primo luogo) hanno compiuto – a nostro avviso – un grave errore. Vediamo perché.

.scandalo calcio

Gli aspetti da valutare sono due: quello della contabilità e del bilancio, comune a tutte le società commerciali, e quello del merito sportivo, per il quale sono previsti requisiti ulteriori e più stringenti per ammettere i club al campionato. Se è del tutto ovvia la necessità di poter disporre di bilanci attendibili, che mostrino con evidenza, chiarezza e verità la reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria delle società commerciali, finalizzata a garantire il rispetto delle obbligazioni nei confronti di creditori, dipendenti, fornitori, fisco e così via; altrettanto importante per la giustizia e i regolamenti sportivi è poter contare su squadre in grado di portare a termine i campionati, poiché un default in corso d’opera falserebbe i risultati sportivi e le attese del pubblico.

Sotto il primo profilo, la responsabilità degli amministratori è evidente e non dissimile da quella di ogni altro settore di attività, salvo il caso della quotazione in borsa. Alla quotazione in borsa devono poter accedere società sane e solide, il cui valore non dipenda dai risultati sportivi, ma dalla capacità di generare reddito in futuro. La borsa offre opportunità di investimento ai piccoli e grandi risparmiatori, e le autorità di vigilanza – che dispongono di poteri di indagine molto invasivi – devono garantire l’affidabilità e correttezza dei numeri presentati al mercato.

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Quello che succede è che, all’indomani di un risultato positivo, il titolo aumenta di valore senza alcun riferimento con la situazione economica dell’azienda e, al contrario, in caso di sconfitta sul campo, il prezzo di borsa crolla. Investire su un titolo quotato deve essere un’operazione tutelata per il risparmiatore, e non soggetta a volatilità anomala, che espone a situazioni fortemente speculative. Come dimostrano i casi emersi, che è possibile siano solo la punta dell’iceberg, la gestione dei club calcistici è molto opaca ed è difficile ricostruire l’effettivo andamento, data l’esistenza di vie di fuga e occultamento di fondi. I pagamenti per stipendi e cartellini dei giocatori estero su estero, le royalties e i diritti televisivi pagati da società estere spesso con passaggi intermedi e compensazioni lasciano ampio spazio alla discrezionalità contabile degli amministratori.

Ciò non vuol dire che tutti i manager di società sportive si comportino in modo illecito, ma c’è sicuramente un notevole spazio per occultare profitti e flussi di denaro. L’uomo della strada resta giustamente colpito dalle cifre enormi di compensi che vengono pagati ai giocatori e si chiede come è possibile far quadrare i conti con la diligenza del buon padre di famiglia. In via puramente teorica, se acquisire le prestazioni di un giocatore molto famoso attira ricavi che possono compensare i costi enormi sostenuti, nulla questio: è il mercato, bellezza (parafrasando una nota battuta cinematografica).

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In realtà è ben difficile trovare club che riescano a chiudere i conti in attivo, e alla fine l’onere del risanamento viene in gran parte scaricato sugli ignari investitori in borsa (il cosiddetto parco buoi), che magari hanno sottoscritto il titolo spinti dalla passione sportiva e si trovano a dover far fronte a continui aumenti di capitale. Per i proprietari questo fa parte del gioco, nel senso che devono averlo messo in conto quando hanno comprato la squadra, e sicuramente per loro c’è una contropartita in termini di notorietà che può comunque rendere conveniente l’operazione, dato che nessuna attività rende popolari come il calcio: si pensi al caso di Berlusconi, che con l’acquisto del Milan ha raggiunto una visibilità enorme, poi sfruttata sia per le aziende televisive che per l’attività politica.

Ma tutto questo non ha niente a che vedere con la borsa. La natura stessa dell’attività economica dei club porta a classificare come investimenti i costi sostenuti per il parco giocatori, ma in qualunque altro settore di attività queste sarebbero spese di esercizio, che andrebbero a gravare direttamente sul conto economico. L’acquisto di un cartellino non è assimilabile a un investimento di prodotto o processo effettuato da una azienda, si tratta in realtà di un costo puro che ben difficilmente potrà generare utilità in futuro, salvo che non si riesca a vendere il giocatore realizzando una plusvalenza. A parte il fenomeno dello svincolo, che dopo una certa età porta i singoli giocatori a poter disporre liberamente del loro cartellino, la valorizzazione dell’”asset-giocatore” è molto aleatoria e soggetta a una serie di condizioni casuali: basi pensare alla possibilità di infortuni o ai diversi guai fisici che possono emergere.

Non è azzardato ritenere che – a parte la visibilità di cui si diceva sopra – l’unico modo di guadagnare per un proprietario di club sia quello di rivendere i giocatori facendosi pagare una parte direttamente all’estero, che potrà costituire una disponibilità tax-free per una serie di transazioni molto spesso nascoste. Questo potrebbe spiegare anche il tourbillon di compravendite di giocatori anche a campionato in corso.

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Poi è vero che esistono anche casi virtuosi di società ben gestite (pensiamo all’Inter di Pellegrini, al Verona, all’Atalanta) in grado di mantenere i conti in equilibrio, ma si tratta appunto di casi isolati. Forse il modello da seguire è quello del basket USA dell’NBA, dove vigono una serie di regole molto restrittive dal tetto complessivo dei salari (il cosiddetto salary-cap) ai meccanismi di scelta delle matricole e dei giovani giocatori.

Non a caso, nessuna delle squadre NBA è mai stata quotata in borsa e i fallimenti sono stati sempre gestiti in modo ordinato dalla Lega.