IL PECCATO DI PENSARE MALE

IL PECCATO DI PENSARE MALE

Mar, 04/23/2024 - 13:59
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Chi ha guadagnato e chi ha perso col conflitto in Ucraina

.pensare male

La spiegazione più semplice e immediata, e forse anche quella più giusta, dello scoppio e del mantenimento del conflitto Russo-Ucraino è quella dell’espansionismo russo e della volontà da parte di Putin di minacciare e intimorire la Nato, che da parte sua stava premendo ai confini e intensificando le esercitazioni. Poi, come successe il secolo scorso in Vietnam e in Afghanistan, l’inattesa resistenza degli indigeni ha reso per le potenze imperialiste la conquista più lunga, difficile e costosa, tanto più in quanto altre potenze contrapposte hanno supportato e finanziato gli invasi.

Lo schema, anche nel caso dell’Ucraina 2022, è stato più o meno questo; anche qui lo zar credeva forse di chiudere la pratica in poche settimane o al massimo in pochi mesi, e invece dopo oltre due anni siamo ancora lì. L’illusione della guerra-lampo (la blitzkrieg di hitleriana memoria) ha affossato in effetti molte velleità imperiali di tiranni e despoti.

Proviamo però a vederla da un altro punto di vista, e cominciamo con un po’ di storia, la cui conoscenza non guasta per interpretare l’attualità.

Fino al crollo del muro di Berlino, l’Ucraina era una delle repubbliche più ricche dell’URSS, con terra fertile e produttiva, materie prime abbondanti e sottosuolo generoso, tanto da essere al centro dei programmi di sviluppo economico del passato regime. All’epoca aveva infatti fabbriche all’avanguardia, scuole soprattutto tecnologiche fra le migliori, infrastrutture funzionanti e, compatibilmente col resto del paese, un elevato livello di vita, senza disoccupazione e con assistenza sanitaria estesa ed efficiente.

Se confrontiamo la situazione di trenta anni fa con quella del 2022, prima che la guerra devastasse ulteriormente il paese, troviamo un paese distrutto, istituzioni politiche corrotte e oligarchiche, lavoro inesistente e prezzi dei servizi irraggiungibili per la maggioranza della popolazione: anche per questo i flussi di emigrazione dall’Ucraina erano, e lo sono ancor di più oggi, molto consistenti.

.emigrazione ucraina

Veramente un destino crudele per la martoriata popolazione ucraina, passata senza soluzione di continuità dal regime dittatoriale sovietico, che d’altra parte garantiva servizi e lavoro ma al prezzo di una povertà diffusa e di una mancanza di libertà democratiche, all’oligarchia che quella povertà ha accentuato, alla vera e propria guerra civile e oggi al conflitto armato.

Le prime vere elezioni (nel dicembre 2004) sono vinte di stretta misura dall’ex funzionario della banca centrale e filoccidentale Viktor Juscenko, sostenuto dalla mobilitazione popolare della “rivoluzione arancione” guidata da Juljia Tymoscenko, leader avvenente ma discussa oligarca, che in breve tempo era riuscita a costruire una notevole fortuna sia patrimoniale che politica. Juscenko è Presidente della Repubblica dal 2005 al 2010 e la Tymoscenko premier dal 2007 al 2010.

In questo quinquennio l’Ucraina si avvicina molto all’occidente, accarezzando l’idea di un improbabile ingresso nell’Unione Europea e prendendo invece gradualmente le distanze dalla Russia, che assicurava forniture di gas a prezzo politico, notevolmente inferiore a quello di mercato. La Russia continuava inoltre a sostenere, con ingenti prestiti, le finanze di uno Stato che l’oligarchia al potere depauperava delle sue ricchezze e delle sue risorse per l’arricchimento personale di una ristretta casta di privilegiati.

Sostenuto dal forte appoggio russo, al ballottaggio delle elezioni presidenziali del 2010, il politico filorusso appartenente all’oligarchia ex sovietica Viktor Janukovyc sconfigge la Tymoscenko e diventa Presidente. Si apre un periodo di avvicinamento alla Russia, senza però formalmente rinnegare l’idea di adesione all’UE che, da parte sua, continua nel consueto atteggiamento indeciso e ondivago.

Nel 2013 Janukovyc si rifiuta di firmare un accordo con l’Unione Europea fondamentale per la sopravvivenza del paese e tratta, invece, un nuovo prestito dalla Russia di Putin: con tale manovra il paese rientra decisamente a pieno titolo nell’orbita russa. Questa è la causa scatenante dei disordini e delle sommosse che culminano nel novembre 2013 con l’occupazione di Maidan, la Piazza centrale di Kiev, da parte dei manifestanti filoeuropei.

.cuore ucraino

Da quel momento inizia la via crucis del paese, con scontri violenti che vedono intervenire, al fianco dei ribelli, gruppi paramilitari nazionalisti che in alcuni casi si richiamano esplicitamente a ideologie nazi-fasciste. Il 22 febbraio 2014, dopo un’ecatombe di 150 morti e oltre 1.000 feriti, Janukovyc fugge con la famiglia da Kiev, portandosi dietro l’enorme fortuna accumulata negli anni di governo; la Tymoscenko, che in precedenza era stata incarcerata per corruzione, viene liberata e il Parlamento nomina Presidente ad-interim, in attesa di nuove elezioni, Oleksandr Turcinov, braccio destro della stessa Juljia.

Anche se il deposto leader filorusso Janukovyc si era rivelato sostanzialmente molto più attento agli interessi personali che a quelli del paese, non va dimenticato che si trattava comunque di un Presidente, liberamente eletto al termine di una competizione elettorale non contestata e la sua destituzione si presenta quindi come vero e proprio golpe, finanziato da ambienti europei e sostenuto dagli Stati Uniti di Obama. L’obiettivo era chiaramente quello di indebolire il gigante russo fomentando un focolaio di rivolta ai confini del suo territorio.

.guerra in Ucraina

Parafrasando un noto tormentone di qualche anno fa, gli Stati Uniti – seguendo una loro prassi consolidata anche in altre regioni del pianeta - facevano la guerra sul suolo degli altri.

Gli Stati Uniti finanziano Maidan a piene mani, contando sull’Europa alla quale viene sostanzialmente demandato il compito di controllare il territorio; la Russia, sentendosi minacciata ai propri confini, si focalizza sulla Crimea, concentra le truppe in prossimità del territorio ucraino e appoggia la resistenza delle popolazioni filorusse nelle regioni orientali e meridionali, anche se ufficialmente ha sempre negato il suo coinvolgimento militare diretto.

Nel marzo 2014 la Russia intensifica la propria presenza militare in Crimea e spinge alla riannessione della penisola, sancita dal referendum approvato dal 93% degli elettori. La Crimea è una regione di capitale importanza dal punto di vista militare, con il porto di Sebastopoli e la supervisione sulle rotte del Mar Nero, e la Russia non poteva permettersi di cederne il controllo a un governo in cui l’influenza degli occidentali e degli americani era prevalente.

Il 25 maggio 2014 si tengono dunque le elezioni presidenziali in Ucraina, vinte con 9,8 milioni di voti pari al 54,7% dei consensi dal quarantanovenne Petro Poroshenko, di Kiev. Juljia Tymoscenko, con un misero 12,8%, giunge a capolinea della sua intensa carriera politica.

Il nuovo presidente, sostenitore della prima ora dei ribelli di Maidan e supporter dell’entrata dell’Ucraina nella Nato, presentava un programma piuttosto moderato, ribadendo l’autonomia del paese ma anche la necessità di un dialogo con la Russia.

.guerra

Regioni come il Donbass, in cui gran parte della popolazione non accetta l’impostazione governativa e chiede maggiore autonomia e rispetto, sono state distrutte e intere città come Donetsk praticamente rase al suolo, le vie di comunicazione interrotte e i servizi pubblici resi ormai inesistenti.

Gli scontri si sono raffreddati a partire dal febbraio del 2015, con il raggiungimento di un accordo per il cessate il fuoco a Minsk fra la Russia da una parte, che pure ha sempre ufficialmente negato la sua partecipazione al conflitto, e Ucraina, Francia e Germania dall’altra. Punto centrale dell’accordo era l’impegno di Kiev a garantire una maggiore autonomia ai territori dell’est. Da questo momento gli scontri sono proseguiti, ma a un livello minore, ed i mass media hanno iniziato ad ignorare totalmente questo scenario di guerra.

Sull'onda delle promesse di nuove riforme e di una rapida fine del conflitto, nell'aprile 2019 viene eletto presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky: è un attore, comico e sceneggiatore diventato popolarissimo nel Paese per aver interpretato uno show televisivo dal titolo "Servitore del popolo", in cui metteva in scena, per l'appunto, un capo di Stato astutissimo, capace di superare antagonisti e detrattori.

Arriviamo così all’invasione armata dell’Ucraina da parte dei Russi, partendo dal Donbass per puntare sulla capitale Kiev.

Dopo oltre due anni di guerra, l’Ucraina è totalmente distrutta e resiste solo grazie agli ingenti aiuti di Europa e USA, la Russia è in grande difficoltà economiche per le sanzioni occidentali (che hanno cancellato un mercato molto fiorente e in crescita continua), ma con le immense risorse di cui dispone resta decisa a intensificare gli sforzi per chiudere la partita e comunque è ormai fuori dal novero delle grandi potenze. La Cina è più forte che mai, potendo ora avvantaggiarsi di importazioni di materie prime (quelle che prima erano vendute dai Russi all’Europa) a prezzi di saldo – che può poi rivendere agli stessi stati che prima compravano dai russi - e di una posizione diplomatica che ne fa il centro di tutta la parte di mondo che non si riconosce nell’occidente capitalista e forma i cosiddetti “Brics allargati”. Oltre ad aver creato – garantendosi l’appoggio di tutti i paesi “non allineati” - le condizioni per scongiurare un fronte unito contro l’annessione di Taiwan, che sembra in questo momento la principale preoccupazione di Xi.

.donna in guerra

L’Europa ha dovuto cambiare in corsa i fornitori di energia e si trova a pagare a piè di lista le armi pretese a gran voce da Zelensky, è totalmente fuori dai grandi equilibri delle diplomazie mondiali e ha la guerra ai propri confini. Al suo interno la Germania è stata trascinata in una grave recessione, avendo subito più degli altri la chiusura del suo mercato di riferimento, sia per l’export che per la fornitura di gas naturale.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno rafforzato la loro leadership diplomatica di grande potenza imperiale, sono diventati il primo produttore mondiale di gas e hanno notevolmente incrementato la posizione nel mercato del petrolio. Dopo due anni di esborsi continui per finanziare la resistenza ucraina, che hanno consentito lauti profitti all’industria bellica ma anche un bello stimolo al PIL statunitense, ora il buon Joe Biden sembra essersi stancato di pagare e sta cercando, senza successo, di convincere Zelensky a imbracciare finalmente le armi della diplomazia. Lui da quell’orecchio non ci sente, nonostante il consenso calante nell’opinione pubblica, i contrasti con la sua classe dirigente e soprattutto il numero impressionante di vittime, feriti e edifici distrutti.

Se guardiamo a chi ha guadagnato e chi ha perso con questa guerra, da un lato Cina e Stati Uniti, dall’altro Russia, Europa e soprattutto Germania, forse una spiegazione diversa delle cause della crisi non è così campata in aria, nonostante quello che ci dicono continuamente i mezzi di informazione governativi più o meno allineati. A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.