Leva, margini e opzioni

Leva, margini e opzioni

Mar, 05/29/2018 - 07:33
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 archimede

 

“Datemi una leva e solleverò il mondo”, così diceva Archimede. E così pensano anche molti investitori improvvisati. Il matematico siracusano intendeva naturalmente il principio della leva in senso fisico per cui, una volta individuato un punto di appoggio, la leva riesce a sollevare pesi anche grandi con una forza relativamente limitata.

Non molto diverso però è anche il nostro caso: con un contenuto ammontare di risorse proprie, è possibile attivare operazioni di volume anche significativamente maggiore attraverso il ricorso al debito.

Il meccanismo del margine sulle operazioni in derivati lo abbiamo accennato nell’articolo precedente: se ad esempio l’operazione prevede una leva 5, verrà trattenuto a garanzia un margine pari al 20% dell’investimento.

In particolare si distinguono due tipi di margine: un margine iniziale, che serve per poter eseguire l’operazione, e un margine di mantenimento, che serve per continuare a tenerla in piedi in caso di andamento negativo oltre il limite garantito.

Generalmente il margine di mantenimento è inferiore a quello iniziale, ma il concetto è lo stesso. Operazioni di questo tipo vengono valorizzate dagli intermediari in tempo reale e, qualora venisse evidenziata una perdita potenziale che arriva al margine, essi le chiuderanno immediatamente, salvo che l’investitore non integri la garanzia con nuovi versamenti.

Normalmente si impostano anche i cosiddetti “limiti”, che possono essere di stop loss e/o di take profit.

Nel primo caso (stop loss) sarà un limite inferiore, al fine di contenere la perdita entro un importo massimo prestabilito; nel secondo caso (take profit) si tratterà di un limite superiore al fine di monetizzare il profitto una volta raggiunto un livello target soddisfacente ed evitare che successive diminuzioni lo dissolvano.

Se ben impostata l’operazione, dunque, sarà in grado, se di esito positivo, di liquidare automaticamente il profitto e incassare; se di esito negativo, di limitare la perdita.

Ma quali sono le operazioni eseguibili con i derivati? Impossibile catalogare tutti i derivati esistenti: sono infiniti e spesso molto complessi. Limitiamoci pertanto a quelli più comuni fra gli investitori: le opzioni sui future.

Il concetto è quello di pagare (o riscuotere) un premio per avere la facoltà di perfezionare o meno, ad una data scadenza, un’operazione a prezzo predeterminato. Ovviamente, l’operazione si farà solo se il prezzo corrente in quel momento sarà favorevole, ovvero sarà quello su cui avevamo puntato. In tal caso si conseguirà un guadagno che, al netto del premio pagato, costituisce l’utile dell’operazione.

In particolare, possiamo “scommettere” sull’aumento del prezzo, assumendo la posizione cosiddetta “long” oppure al contrario sulla sua diminuzione, mettendosi, come si dice in gergo, in “short”.

Il meccanismo è semplice: per esempio se un determinato strumento (azione, valuta o commodity[1], di cui parleremo nel prossimo articolo) oggi è quotato 100 e riteniamo che fra 3 mesi valga 105, lo compriamo a termine attraverso lo strumento di un contratto derivato e ci mettiamo “long”. Paghiamo un premio di 2 e, se avremo indovinato, dopo tre mesi avremo il diritto di comprarlo pagando complessivamente 102, per rivenderlo subito a 105 ed intascare così la differenza.

Viceversa, sempre col titolo quotato oggi 100, se scommettiamo sulla diminuzione del suo prezzo, ci mettiamo “short” e vendiamo a 3 mesi ad un valore ipotetico di 95. Se paghiamo un premio di 2 e abbiamo indovinato, alla scadenza ricompreremo il nostro titolo sul mercato al prezzo corrente - a quella data - di 95 e, in base all’opzione acquistata, daremo esecuzione al contratto rivendendolo ai 100 del prezzo iniziale che, al netto del premio di 2, ci permetterà di mettere in tasca i 3 di utile.

Se invece sbagliamo la nostra scommessa e il prezzo del nostro titolo si muove in direzione opposta a quella da noi ipotizzata, anziché guadagnare avremo una perdita, che al massimo sarà uguale al premio pagato: oltre quel limite, infatti, conviene rinunciare all’operazione.

Fino ad ora abbiamo parlato solo di “acquistare” opzioni, ma ovviamente il meccanismo funziona parimenti all’opposto, perché le opzioni possono essere anche vendute. In tal caso quanto sopra descritto vale al contrario: si assume posizione “long” vendendo un’opzione e una posizione “short” acquistandola.

Ma non basta: le opzioni possono essere di due tipi, ovvero “put” e “call”, dall’inglese rispettivamente consegnare e ritirare.

E così, per assumere posizioni lunghe o corte, possiamo acquistare o vendere sia put che call. Ma il bello è che possiamo fermarci anche a mezza strada, senza necessariamente arrivare fino alla meta. In altri termini, possiamo decidere di coprire parte del rischio assunto (l’operazione in gergo si chiama “hedging”) ponendo in essere operazioni di segno opposto, in una qualunque delle combinazioni intermedie.

A questo punto i lettori meno esperti, sempre ammesso che abbiano continuato a leggere fino ad ora - e non ne sarei così sicuro-saranno quanto meno disorientati.

Vorrei tranquillizzarli: l’obiettivo di questo blog non è quello di spiegare le operazioni tecnicamente più complesse, ma quello molto meno ambizioso di far capire il livello di rischio che determinati investimenti possono comportare e, soprattutto, quello di consigliare di astenersi da operazioni di cui non si comprende il contenuto. Abbiamo infatti sempre parlato di “investimento prudente e consapevole”: si tratta proprio di questo.

Con il prossimo articolo, concluderemo questa miniserie dedicata ai derivati, parlando di commodities, una tipologia di strumenti sui quali vengono costruiti frequentemente derivati. Già fin d’ora emerge però chiaramente il chiaro indirizzo di approcciare con molta cautela e prudenza questo tipo di operatività, non lasciandosi ingannare da pubblicità fuorvianti e dall’illusione di guadagni facili e senza rischio.

 

 


[1] Con il termine inglese commodity si intende in generale qualunque tipo di materia prima (metallo, prodotto energetico, derrata alimentare, animali e così via) che può essere scambiato su un mercato in cui ne vengono trattati lotti standard per qualità e quantità

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