DOVE STA ANDANDO DAVVERO L’AMERICA?
Forse dovremo fare i conti ancora per lungo tempo con il ciclo MAGA
È molto probabile che dovremo fare i conti con il movimento MAGA ancora per lungo tempo, se il trumpismo, anziché essere una meteora destinata a scomparire senza lasciare traccia del suo passaggio, si dovesse rivelare uno dei tanti cicli di controllo della Casa Bianca da parte dello stesso partito, come è successo più volte nella storia degli USA. Senza andare troppo indietro nel tempo (ai tempi dello “small government” di Coolidge e Hoover che si interruppe bruscamente con la grande crisi del 1929, interrotto dal ciclo successivo dei democratici avviato da Roosevelt), basterà ricordare l’era reaganiana (comprensiva del periodo dei Bush) o quella di Clinton.
In questa logica, il “ciclo MAGA” potrebbe essere nato durante il primo mandato del tycoon, ed aver poi utilizzato la presidenza Biden per consolidarsi e rinforzarsi, fino all’attuale mandato a cui potrebbero benissimo seguirne altri due, non necessariamente a guida Trump (la cui età rappresenterà comunque un limite), ma magari sotto l’egida del “bello col kajal” J. D. Vance, forse ancora più pericoloso del titolare.
Se così fosse, converrà chiedersi dove andrebbe l’America nei prossimi anni, sia sotto l’aspetto politico e sociale, quello dei diritti civili e del tasso di democrazia effettiva, sia sotto quello economico per l’enorme influenza che gli USA esercitano sul resto del mondo, in particolare sull’Occidente e sulla vecchia Europa.
Se oggettivamente l’America del 2025 non può essere (ancora?) considerata una dittatura, come la Russia dello zar Vladimir Putin o la Corea del Nord di Kim Jong Un, tuttavia presenta indubbi e preoccupanti segnali di forte autoritarismo, tanto che oggi si fatica a considerarla ancora una democrazia liberale. Questo non per le elezioni che possiamo ancora considerare libere, almeno per quanto ci risulta, ma per il continuo conflitto di poteri che Trump ha innescato soprattutto con i giudici e la Federal Reserve Bank, la banca centrale il cui governatore Powell è continuamente sotto il tiro incrociato di Trump e dei suoi accoliti. Inoltre, un chiaro sintomo di autoritarismo è il frequente utilizzo della Guardia Nazionale per contrastare disordini originati da contestazioni anti-governative prima in California e ora a Chicago.
Ma anche le forti pressioni sul sistema universitario, con il blocco dei finanziamenti agli atenei che non si sono allineati ai diktat governativi, sono un chiaro indizio della deriva autoritaria. Da questo punto di vista, le caratteristiche del potere trumpiano non paiono molto diverse da quelle della Cina di Xi Jinping, della Turchia di Erdogan, dell’Ungheria di Orban o dell’Israele di Netanyahu.
Il concetto alla base della dottrina MAGA è la teoria unitaria dell’esecutivo, ovvero il diritto di chi è al timone di esercitare una reale supremazia su ogni aspetto della vita pubblica e su ogni organo, anche quelli la cui indipendenza è garantita dalla Costituzione, o comunque storicamente rispettata da tutte le precedenti amministrazioni.
In questa logica si pone il minacciato licenziamento di Lisa Cook, membro del Consiglio dei Governatori della Fed, il cui rimpiazzo garantirebbe a Trump il controllo numerico dell’Organo. Oppure quello attuato nei confronti di Erika McEntarfer, direttrice dell’ufficio statistico, per ver diffuso numeri sul lavoro che inducevano alla preoccupazione, e quindi non graditi dallo stesso Trump.
Per quanto riguarda invece l’effetto sull’economia e sui mercati finanziari, la situazione è più articolata e di più complessa lettura. I mercati hanno proseguito la loro marcia trionfale verso continui massimi, sostanzialmente ignorando quello che Trump afferma (spesso in effetti corretto e smentito a stretto giro con dichiarazioni opposte). È però evidente che prima o poi la corsa dovrà arrestarsi, dati i prezzi molto alti raggiunti dalle attività finanziarie, spesso senza correlazioni con la situazione economica effettiva delle società.
I fondamentali dell’economia sembrano invece procedere in modo positivo: la produzione – il cui incremento è rallentato negli ultimi trimestri portandosi dal 2,8% lasciato da Biden all’attuale 2% – resta ancora ben intonata, la disoccupazione è al minimo storico (4,2%) e l’inflazione, pur in risalita al 2,5%, si mantiene sotto controllo consentendo di prevedere ulteriori riduzioni dei tassi, già da questo mese di settembre.
Ma al di là delle statistiche generali, guardando con più attenzione, si scoprono situazioni se non di pericolo, quanto meno da non sottovalutare. I mercati sono trainati dai forti numeri dell’alta tecnologia, e in particolare di tutti i titoli legati all’intelligenza artificiale, i cui effetti sembrano però rivelarsi sovrastimati e destinati a ridursi nel tempo. Il settore immobiliare, vero segnale in grado di preannunciare un forte e duraturo sviluppo, è in crisi conclamata che ricorda molto da vicino la situazione che precedette la crisi dei subprime. Anche i tradizionali settori della old economy in effetti arrancano e non stanno passando un buon momento.
Ma l’aspetto in assoluto più preoccupante è l’abnorme crescita del debito pubblico, che ha ormai raggiunto i 36 trilioni di dollari (di cui 26 in mano ai privati e il resto agli stati sovrani), ormai nettamente superiore al PIL. Kenneth Rogoff[1], professore di Economia a Harvard e senior fellow al Council on Foreign Relations, ad esempio, ha rilevato che nella storia USA ogni qual volta il debito pubblico ha superato il 90% del PIL, ha innescato la recessione, tanto da paventare il collasso in arrivo.
Con gli attuali livelli dei tassi di interesse, questa montagna di debito genera un disavanzo di circa il 6% del PIL, che è difficilmente sostenibile a lungo termine. Da qui le pressioni di Trump sulla Fed per ridurre i tassi sui Treasury Bonds, oggi mediamente intorno al 4,5%, motivazione molto più credibile rispetto a quella di voler favorire lo sviluppo, più o meno comune a tutti i Presidenti.
[1] Si veda, a questo proposito, il saggio di Kenneth Rogoff “America’s coming crash - Will Washington’s Debt Addiction Spark the Next Global Crisis?” in Foreign Affairs di settembre/ottobre 2025 (in https://www.foreignaffairs.com/united-states/americas-coming-crash-rogoff )
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